Rosanna Ricci
Materiali in libertà per dare un’emozione
Gianfranco Sacchetti si esprime secondo un linguaggio informale in cui si nota un fascino per i materiali, anche quelli poveri come il cartone ondulato. L’armonia dei colori, il rapporto fra questi e il materiale povero del fondo finiscono col perdere i riferimenti puramente tecnici per diventare elementi espressivi della materia che “dialoga col tempo attraverso le stratificazioni”. Nella superficie la corrispondenza fra colore ed emozione è più piacevole perché raggiunge forme di decorazione che ricordano il paesaggio. Naufragio contemporaneo. Nelle parti più profonde il colore si fa più cupo e colmo di mistero.
Una pittura, quella di Sacchetti, che risulta costruita con sapienza e sensibilità. Di fronte ai quadri dell’artista, si prova l’emozione delle cose passate e, nello stesso tempo, un naufragio nell’arte contemporanea. Un naufragio che comunica l’emozione per la bellezza dei materiali e lo stupore dell’artista davanti agli esiti che tali materiali sono in grado di proporre, ovviamente attraverso un’operazione sensibile e altamente calibrata com’è quella di Sacchetti. Non a caso il suo nome rientra fra quelli dei pittori contemporanei più interessanti.
Roberto Vitali
L’arte di Gianfranco Sacchetti si svolge nell’ambito di un discorso in cui il senso della materia non è dato semplicemente da effetti di colore. Egli infatti sfrutta la commistione di vari supporti (lamine di ferro e cartone) su cui interviene anche col fuoco dando vita ad opere di accentuato impatto. Ed in esse avvertiamo la presenza di uno spazio fortemente dinamico, ove una materia non omogenea (piuttosto la diremmo ridotta in frammenti) finisce con l’acquisire una consistenza mai piatta. L’alternarsi poi di tonalità scure e chiare (giocando sugli effetti di contrasto) determina all’interno della composizione un ritmo per nulla tranquillo che ignora tempi morti. “Cose” insomma non rigorosamente classificabili come pittura (intesa nel senso classico) mentre un senso di intima sofferenza, tutta all’opposto di un facile sentimentalismo, conferisce loro un’intensa carica umana. E proprio in ciò ci sembra di cogliere l’essenza dell’arte di Gianfranco Sacchetti.
Marcello Venturoli
Gianfranco Sacchetti, budriese, ha cominciato a partecipare alle mostre intorno al 1973, e sempre più col lavoro si è polarizzato verso una pittura che sarebbe piaciuta al primo Tapies e di cui lo stesso Roberto Vitali ha scritto con molto favore in occasione della mostra personale dell’artista al Centro Mascarella Arte Ricerca a Bologna dieci anni fa, “pannelli murali” dentro le strutture di un cantiere. La materia adoperata per gli spessori è il cemento, la situazione operativa è “tra l’estetico e il sociale” strettamente connessa “col rapporto uomo ambiente”. Il critico che mi ha preceduto, sottolinea giustamente che il pittore non tanto soggiace al fascino dei muri scrostati (su cui del resto si sono fissati gli occhi di tanti pittori informali), ma soprattutto invita “a non essere succubi della materia”. Infatti il sentimento del tempo specchiato dal pittore è successivo al momento tipicamente informale, lirico soggettivo viscerale, direi che nel fare di Sacchetti sia la ricostruzione dell’ambiente consumato attraverso frammenti parietali, vestigia dell’uso e quindi in tal senso anche qui della civiltà dei consumi. L’operazione non è però quella di intervento sull”’oggetto trovato” del tipo per esempio del primo Rotella, se mai della finzione archeologica di una umana presenza, come da un pezzo si festeggia negli “affreschi” di Giorgio Celiberti. Tali qualità e fisionomie appaiono felicemente nei lavori di Sacchetti dal titolo “Specchio del tempo” e “Impronta”, il primo costruito per accumulo dei materiali dentro reticoli metallici che fanno anche da vertebra grafica di questa icona secolare riciclata da un muro d’oggi, il secondo che si configura piuttosto come un sudano, una somma di impronte, più legato ai moduli dell’informale classico. A proposito del quale non mancherò di ricordare la ricca e univoca serie delle “tele dipinte” più palesemente informali, dove però il fiele dell’ismo esistenziale tende a tramutarsi in miele, poichè iridescenze, avviluppi segnici, dripping qui cantano una specie di favola di evasione.
Daniela Brugnoli
Con le prime pitture, Sacchetti desidera reinterpretare i ricordi dell’infanzia trascorsa nella sua casa di Budrio (BO), quando restava incantato a fissare per ore gli affreschi che ne impreziosivano gli antichi soffitti ad arco. Quindi è inevitabile che, come la maggior parte degli artisti contemporanei, le prime opere sono caratterizzate da una sicura predominanza del figurativo. Fin dall’inizio la tecnica favorita risulta essere la pittura che lo accompagnerà fino alle ultime opere.
Tuttavia l’artista prosegue, nella sua ricerca artistica, una continua sperimentazione di ulteriori materiali, insieme all’utilizzo di altre tecniche e interpretazioni. Di conseguenza l’opera si evolve: il figurativo lascia spazio al metaforico, al simbolico, all’astratto e, nel contempo, anche il supporto materiale si sviluppa, la tela considerata il supporto dell’opera pittorica per eccellenza cede al cartone, elemento più ‘materico’ più povero destinato, nel contesto dell’uso quotidiano, allo scarto, il privilegio di accogliere le intime sensazioni dell’artista. Dallo sguardo verso materiali ‘poveri’ che, in questo caso però acquistano un valore più ‘alto’, nobile, spirituale, Sacchetti usufruisce del linguaggio del cartone per descrivere paesaggi lontani, ‘eterei’, in apparenza tranquilli, suddivisi con perentorie, nette fasce scure orizzontali, verticali e concentriche, che separano i colori caldi e sfumati della terra con quelli delicati, evanescenti del cielo con una precisa eccezione delle nuvole che appaiono forti e decise nei contorni spessi e contrastanti con l’armonia dell’azzurro celeste.
Gianfranco predilige la linea del semicerchio, simbolo perfetto dell’infinito, che non possiede un inizio e una fine, ed è riproposta nella maggior parte delle sue opere. L’artista percorre ogni sua opera tracciando percorsi guidati principalmente da curve sinuose, alcune create volontariamente, altre invece sorgono spontaneamente tramite l’utilizzo di strumenti incandescenti cui l’artista si affida per riportare alla luce l”anima’ nascosta del cartone. Così, si potrebbe definire Sacchetti uno ‘scopritore’, un indagatore degli strati più profondi e intimi della materia e, tramite incisioni, tagli e lacerazioni vuole renderla visibile al fruitore, che si lascia sedurre dalle forme scure, sotterranee nascoste da un paesaggio integro ma allo stesso tempo fragile della superficie materica. Incantato dalla percezione di zone dapprima misteriose, lo spettatore segue il loro discontinuo percorso che va a rifugiarsi nell’oscurità che si insinua sotto la sicura apparenza superficiale, fino a interrompersi ai suoi occhi, ma che invece prosegue il suo tracciato nelle profondità della natura pittorica, metafora spirituale dell’animo umano, all’apparenza stabile, ma ricco di infiniti percorsi tortuosi, positivi e negativi che ognuno di noi scopre giorno dopo giorno.
Flavia Bugani
La cifra creativa e stilistica che è alla base del suo operare è il “senso della materia”, dato già dai supporti, arelle (graticci sottili di canne usate in edilizia, nel passato), cartone, lamine di ferro, poi dai gessi e cementi disposti su di essi, i cui spessori rilevati e frammentati, creano grazie anche al colore, alternato in chiari e scuri, suggestivi effetti dinamici e sostanziali. La materia diviene evocazione delle tracce lasciate dall’umano operare, memoria della laboriosità, della manualità e sapienza artigianale, diviene ricerca di autenticità e costante indagine estetica e simbolica in virtù degli infiniti effetti a cui essa dà vita. Come scrive Valerio Dehò, Sacchetti “costringe la materia all’Idea”. Negli ultimi lavori, il significato tematico rivela echi di un lirico figurativo: lo studio delle superfici, e delle loro profondità e rilevanze, non solo reali ma anche semantiche, è spesso affidato al colore, dall’evidente corposità. L’interrogarsi, lo scavare nell’interiorità e nella realtà insieme, il senso del mistero e della scoperta si fondono in un affascinante mix.
Prof. Franchino Falsetti
Moto Sussultorio
“Tutta l’arte è finita….. quadri sulle pareti. Forme sul pavimento. Vuoto. Stanze vuote…” (A.Warhol) Sacchetti con la sua scelta artistica vuole realizzare un progetto di estetica dell’impurità che sia testimonianza del suo impegno culturale e sociale, impegno che vive in modo organico, totale ed inscindibile tra la realtà e la sua arte e nello stesso tempo tende a ricercare un’etica che unisca la conquista di sé con l’esistenza. L’incubo della contemporanea cultura del disordine sociale e dell’annunciata catastrofe ambientale generano nuove considerazioni: spazio e tempo strutturati per isolare, esaurire, distrarre. Diventa opportuno ri-considerare una nuova coscienza utopica. “Se l’uomo viene formato dalle circostanze, allora le circostanze devono essere formate dall’uomo”. (K.Marx)
Moravia ripeteva che “ogni vero artista ha una sola corda al proprio arco”: questo è il caso di Sacchetti, che nel suo lungo e qualificato percorso artistico ha rintracciato l’unico crisma che certifichi profondità e serietà della ricerca. Il suo lavoro contrasta la mera consacrazione estetica di ciò che è già accaduto e si sente nemico di ogni operazione che non sia espressione di autentica creatività. E’ altrettanto consapevole che l’arte è diventata una parte integrante della società contemporanea e che diventa sempre più urgente pensare ad una “nuova” arte che sia capace di superare l’attuale stato di appiattimento ed uniformità (omologazione) del pensiero ideativo e creativo. L’artista può esistere se è capace di creare nuove forme di azione. Gianfranco Sacchetti è un artista azionista , cioè, è capace di costruire esperienze che irrompono sulla l’ordine precostituito e su tutto ciò che è semplice trasmissione di tecniche e stili compositivi.
Sacchetti è, quindi, un ricercatore, uno sperimentatore che, con inarrestabile volontà, tende a conquistare i livelli efficaci della partecipazione e comunicazione dell’arte, senza usi impropri o strumentali giochi di artificiosità. La pittura di questo artista diventa, così, singolare, poiché l’idea della rappresentazione è considerare la realtà quale segmento di territorio, un campo di osservazione culturale e visivo che è molto simile alle espressioni di antiche mappe delle culture maya e atzeche. Il cartone è il telaio su cui comporre la “coperta” colorata dei pensieri e dei tracciati di mondi vicini e lontani, perduti nel tempo, ma ricchi ancora di sollecitazioni e di suggestioni inafferrabili. E’ una lettura antropologica della realtà, è un modulare forme geometriche e figurative, per uno sguardo aereo, che sembra farci cogliere il senso della relatività dell’essere e delle cose e ci fa riflettere sulla eterna separazione tra i concetti valoriali ed esistenziali, che connotano le esperienze artistiche di ogni epoca: relatività o universalità.
Marzio Dall’Acqua
Le lettere dell’inconscio
Sacchetti si affida alla ceramica per riprodurre un alfabeto ricavato dalle ventisei lettere originali dell’alfabeto etrusco, ma con interventi e variazioni che le collocano in una dimensione di sogno e fantasia, che diventa gioco nel modo con il quale le accosta, le allinea o le fa smarginare, ma ha anche un che di magico per l’accostamento fortuito, che suggerisce la possibilità di comunicare con altri mondi, con altre realtà: un po’ come interpretare iconograficamente le nuvole che corrono. In queste opere c’è dunque leggerezza, fantasia, suggestione sottilmente romantica, allusione a possibilità molteplici che sono proprie delle lettere che rappresentano, nelle antiche simbologie la molteplicità dell’umano rispetto ad un unico e ben definito disegno di Dio, che però non conosciamo e dunque il complicarsi degli accostamenti casuali diventa un inseguire quel misterioso progetto. E’ il loro formarsi ed avvicinamento un alfabeto dell’inconscio dunque, un modo di far scaturire da sé risposte e strade, formule salvifiche, ma anche in cedere al disordine, alla follia e, nel gioco, irridere ad ogni possibilità di trovare una chiave di lettura, di poter interpretare, liberandosi così in una irrisione e lievità infantile.
La ceramica è inoltre una delle materie che segnano, connotano e storicizzano la civiltà etrusca in un rapporto affascinante e alternativo tra Occidente ed Oriente, per cui dopo la ceramica domestica, fatta senza tornio, detta d’impasto con argilla non depurata, quella villanoviana e post per intenderci, fu sostituita nell’VIII secolo dai ceramisti greci che arrivarono in ambiente etrusco e rivoluzionarono le tecniche, i materiali e le forme. E’ per la presenza di questi “stranieri” che il flamine, il sacerdote più alto in grado nella gerarchia religiosa, non poteva incontrare, recandosi a compere sacrifici, alcun vasaio, : un vero e proprio tabù che attribuiva anche al ceramista poteri “magici” oppositivi, in un curioso equilibrio sacrale. Sacchetti è insieme ceramista ed aruspice, scrittore e creatore, lettore ed interprete di forme che egli fa fluttuare su supporti che diventano natura, alludono ad altro, fuori ed oltre la scrittura.
Valerio Dehò
Sacchetti affronta il problema della materia con sapienza autenticamente artigianale, ma come proposizione artistica inserisce il gusto innato della ricerca che non si sofferma sui risultati acquisiti. In passato ha affrontato con impatto diretto la brutalità del cemento su di una superficie di sostegno reticolare o su quelle canne legate insieme che costituivano il supporto dei tetti dei casolari contadini. Con i materiali ha sicuramente dimestichezza e questa familiarità è accompagnata anche da uno slancio di subitanea spontaneità che non gli impedisce di mostrarsi anche su di un terreno non facile. E certamente i riferimenti ai maestri dell’informale sono d’obbligo dato che per lo meno i” muros” di Tapies sono da ricordare come illustri progenitori, ma certamente Sacchetti ha mostrato nel suo partire da ‘se stesso” di voler oltrepassare gli ostacoli che lui stesso si proponeva. In questo c’è stoffa di artista.
Poi è passato a sperimentare dei cementi colorati sulla tela grezza di iuta o di cotone che abrasi lasciano delle tenui e indimenticabili tracce di colore. Questo periodo “lirico” (definiamolo così con sufficiente approssimazione) pur nei suoi esiti tutti da scoprire, ha lasciato il posto ad una pittura-scultura poveristica che esibisce le trame di cartoni da imballaggio, di materiali per l’edilizia e di altre diavolerie che non hanno niente a che fare con le “belle arti” almeno fino a quando l’artista non decide di cambiarne il significato. In questa ultima serie di opere Sacchetti si lascia tentare dai valori plastici, ma si comprende come egli punti sulla comunicazione diretta della materia senza velature di sorta.
Le bruciature cui sottopone i cartoni sono un omaggio non tanto ai suoi padri spirituali, quanto la rivelazione di una materia che va piegata ad una forza superiore. Con questo si dimostra come la creazione non sia un movimento spontaneo dell’intelletto, ma piuttosto il piacere della mano di modificare l’esistente. Fra pause e ripensamenti l’attività di Sacchetti si muove perennemente in direzione del caso (l’oggetto trovato, lo scegliere dal mondo del lavoro gli strumenti potenziali dell’arte) e del destino che in questo caso è rappresentato dall’artista che costringe la Materia all’idea.
Enzo Dall’Ara
Combustione materica
Valente artista bolognese, ammirato in significative personali e collettive organizzate in Italia e all’estero ed impegnato in gruppi culturali divulgatori dell’arte contemporanea, Gianfranco Sacchetti è personalità interessante, attiva in un lessico espressivo inconsueto, che accoglie esperienze informali, talora geometriche, e assunti più recenti, registrati in una ricerca continua sulle valenze dialettiche di materia e materiali.
Partito nei primi anni settanta da elementi poveri, desunti dall’edilizia, è giunto, nel tempo, a indagare le significanze stratigrafiche di un supporto apparentemente insignificante, il cartone, sul quale interviene sia in superficie, sia in profondità, per analizzare il valore degli strati, avvertiti come ipotetiche sedimentazioni geologiche e litologiche.
L’arte di Gianfranco Sacchetti tratta di un vero cammino condotto dall’esterno all’interno della materia, al fine di coniugare aspetti esornativi esteriori con dimensioni astratte e criptiche, custodite entro endogena oscurità. E’ come se l’artista transitasse dal conscio percepibile all’inconscio invisibile, avvalendosi di cruente lacerazioni, conseguenti a interventi di strumenti incandescenti ed erosive. E’ un “viaggio” alla scoperta degli anfratti del tempo e dell’essenza umana e naturale, un “percorso” in siti che costituiscono mappe, ingressi, soglie, perforazioni, per scavare entro necropoli, reperti e pittogrammi della memoria.
Eppure, colori, luci e ombre, interagenti con nuclei di meditati inserti, effondono una netta risoluzione pittorica, evolvente da superfici intaccate, tendenti alla terza dimensione, su cui scorre il divenire degli elementi fondamentali della natura.
Ma emerge anche una “topografia” spirituale dell’essenza umana, ritmata da sussulti e abissi, da quiete e angoscia, da elevazioni e cadute.